Metti una cena al buio.


in ristorante, Spente le luci, i camerieri ciechi si prendono cura dei clienti
Un'iniziativa sperimentata in Inghilterra e Francia.
Due ore a cena nell'oscurita', per capire e riflettere.
DAL NOSTRO INVIATO PAOLO PAOLINI
BARUMINI
Massimo Diana schiva silenzioso sedie fuori posto, e braccia che penzolano nell'oscurità.
Il profumo dei malloreddus alla campidanese inonda le narici.
Il cameriere è una presenza percepita solo attraverso il profumo dei piatti, che porta con precisione millimetrica.
La prima cena al buio è la vita a parti rovesciate.
I ciechi sono padroni della scena, e, per tre ore, chi la vista ce l'ha, si misura con la cecità artificiale.
Trenta euro è il prezzo per un'esperienza che lascia il segno, sperimentata in Inghilterra, e mutuata da una catena diristoranti parigini.
Appuntamento alle 21 in un locale con le vetrate oscurate sulla reggia nuragica.
Lampeggiano solo le spie dell'allarme ,e un telefonino lasciato proditoriamente acceso.
In diciotto, e nessun politico, si mettono in coda, e ciascuno sarà accompagnato al tavolo da uno dei tre non vedenti.

Mariangela Argiolas, Massimo Diana e Giovanna Perri, lavorano per costituire un'associazione:
«Serate come questa, spiegano i problemi dei disabili inmodo molto più efficace di qualunque discorso.
Avrebbero gradito la collaborazione dell'Unione ciechi, raccontano di aver fatto i passi necessari:
«L'abbiamo contattata, ma la conversazione telefonica non ha avuto seguito.
Non si sono persi d'animo, e hanno sondato la disponibilità dei ristoratori.

Angelo Renzetti ha detto sì.
Subito, senza ripensamenti: «La cena era fissata per il giorno della sfortunata eliminazione dell'Italia agli Europei di calcio, quindi è stata rinviata ad oggi.

Invitati speciali i sindaci della zona. A fine serata si farà il bilancio degli assenti: tutti, nessuno escluso. «Evidentemente hanno avuto un contrattempo».

Le prime ad arrivare sono due ragazze, che nulla sanno della cena al buio. «Interessante. magari verremo la prossima volta», buttano lì con imbarazzo, prima di infilare l'uscita.

Alla spicciolata si presentano i diciotto che hanno regolarmente prenotato un posto, non il tavolo. Perché ci si siede dove decidono i camerieri, sciogliendo vincoli di amicizia e parentela.
Un passo oltre l'ingresso il buio è assoluto, le mani sono antenne sensibilissime, che all'occorrenza diventano posate. Si fa affidamento su tatto e udito, soprattutto il primo. Si cercano a tentoni il tovagliolo, i bicchieri.
Quando si è proprio sicuri di sé, ci si avventura verso le bottiglie di acqua e vino della casa.
La paura è diffusa, non si sa come affrontare la situazione.
«Provate a pensare, che, in queste condizioni, tiriamo su i nostri figli.
Salsiccia, mustela e formaggio, poi ravioli di ricotta e malloreddus.
Si scopre quant'è complicato scambiare quattro chiacchiere con persone che non vedi.
Ci si affida al tono di voce, per immaginare il viso, l'età.
Sarà l'inesperienza, fatto sta che al momento di riaccendere le luci, le figurine costruite faticosamente si dissolvono come pixel di una foto digitale.
Capisci sino in fondo il paradosso: non vedenti che accudiscono i clienti con l'attenzione riservata ai bambini.
Senza il loro aiuto, non sarebbe possibile neppure raggiungere la toilette.

Grigliata mista di carne senz'ossa, con contorno di patate fritte.
Un brivido lo regalano le animelle, presenza molle tra il vitello e la salsiccia.
I denti affondano nelle interiora, giusto il tanto per capire che se ne può fare a meno.
Nel frattempo l'atmosfera è cambiata, il buio accresce la confidenza, si fanno le prime ammissioni senza troppo imbarazzo.
Così si scopre che più d'uno ha afferrato la carne con le mani, e non solo quella.
C'è la percezione esatta della disciplina, che regola le giornate dei non vedenti, anche nelle cose più elementari, come mangiare.
La luce di una candela, ha la forza accecante di un faro sparato direttamente sulle pupille.
È il segno che la vita sta per riprendere il corso regolare.
C'è chi sostiene che in un tempo così limitato, sia difficile cogliere le difficoltà dei ciechi.
«L'obiettivo è sensibilizzare a certi problemi», ripete Massimo Diana, «Per esempio: se i marciapiedi fossero sgombrati, i disabili potrebbero affrontarli più serenamente.
In una conversazione al buio, riflessioni come questa, sono molto più naturali.
A mezzanotte e venti la sala si svuota.
Nella mente si affastellano le immagini di uffici postali, banche, ospedali e municipi, con barriere architettoniche insormontabili.
E se bastasse una cena, per cambiare?

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